Poltergeist
La recensione di una recensione: le fanfare e i rosari di Laura Agnusdei
La maggior parte delle figure occupate nel mondo della musica deve avere spalle larghe. Ma se il lavoro del musicista viene d’abitudine recensito, chi si occupa di recensire il lavoro dei recensori?

Premessa: Houston, abbiamo un problema
Il mestiere – del compositore, del musicista, del turnista, del produttore, del grafico… – prevede il continuo confronto con il mondo esterno: per essere riconosciute e diffuse, le abilità devono passare attraverso il giudizio del pubblico e, prima ancora, della critica.
E così, dopo aver inciso un disco, si attendono i referti dei giornalisti – o degli aspiranti tali: un immancabile ingrediente di ogni buona promozione. Ma a cosa serve, davvero, una recensione?
La recensione dovrebbe descrivere un lavoro per aiutare il pubblico a fare una scelta: mi interessa o non mi interessa, questo disco? Purtroppo, le recensioni si trasformano spesso in altro: poesie ermetiche, sfilate di presunte e boriose conoscenze, parate non necessarie di cultura musicale, atti di arroganza, adulazione e mostre di denti avvelenati… La recensione diventa allora un accrocchio incomprensibile di aggettivi e figure retoriche, mancando miseramente il principale obiettivo: comunicare in modo chiaro le intenzioni e le forme di un lavoro.
Ci sarebbero tante cose da commentare in merito al mondo delle recensioni e dei recensori: il mercato e la sua accessibilità, le qualifiche, le retribuzioni, la psicologia e le questioni di ego... Perché a volte capita che il recensore si senta investito di una carica superiore – il potere di vita o di morte, il pollice verso dell’imperatore – e la percezione di quell’aura innesca una inflazione cosmica della persona: il recensore dimentica ben presto il disco in oggetto e si perde in onanismi diretti a glorificare copiosamente la sua auto-affermazione, autoriale e intellettuale.
Lontani dal voler crocifiggere chi si occupa di questo lavoro – sempre che di lavoro retribuito si stia parlando, visti i costi degli uffici stampa – si dovrà anche dire che la responsabilità dei poetici – quanto inutili – referti, talvolta è da dividere con la scarsa professionalità di chi si preoccupa di scrivere la presentazione di un disco. Una buona recensione – in senso stilistico e comunicativo – è frutto di un’ottima sinergia tra informazioni date e competenze di chi, quelle informazioni, le riceve e le processa attraverso l’ascolto per poi offrirle ai lettori in forma di breve testo.
Oggi facciamo un gioco: il musicista e il recensore hanno in comune una medesima esposizione pubblica del lavoro; quando propone un disco, il musicista offre il suo lavoro a centinaia di ascoltatori. Quando scrive una recensione, l’autore offre le parole che ha scelto a centinaia di lettori. Ma se il lavoro del musicista viene recensito, chi si occupa di recensire il lavoro del recensore? Poltergeist inaugura così la prima – lunga – avventura delle "Recensioni di una recensione".
Recensione della Presentazione
Il 25 novembre 2021, Laura Agnusdei ha pubblicato – con Trovarobato, UBI CONSISTAM: “un progetto che comprende cinque composizioni acusmatiche frutto dell’esplorazione sonora di altrettanti luoghi di Bologna. Ogni brano è pensato per essere ascoltato in cuffia visitando il luogo nel quale sono stati registrati i suoni da cui è composto”.
UBI CONSISTAM non è solo una raccolta di tracce: è un progetto, dunque un’opera in divenire, come dimostra la sua doppia essenza di avventura che ognuno è invitato a fare nell’ascolto e di prodotto editoriale in forma aperta: i brani sono accompagnati da un libro “pensato per essere un piccolo diario di viaggio, nella parte “note” puoi annotare riflessioni e sensazioni durante il tour, mentre sotto il testo introduttivo di ogni location puoi segnare data e ora della tua visita”.

L’Introduzione del libro – che non è un oggetto accessorio, ma è parte integrante del lavoro proposto – prosegue nel dare un aiuto all’ascoltatore, raccontando succintamente, ma in modo esaustivo, tecniche e tecnologie dei brani, invitandoci a partecipare a un’esperienza tra pari. Scrive Agnusdei: “decido dunque di dedicarmi alla ricerca di luoghi della mia città che presentino acustiche o/e architetture particolari e di attraversarli a volte con il suono del mio sassofono, altre volte invitando altri strumentisti a prendere parte all’esperimento: Stefano Pilia al contrabbasso, Enrico Malatesta alle percussioni, Flavio Zanuttini alla tromba e Giacomo Bertocchi al clarinetto”.
“Le riprese audio, ad opera di Azzurra Fragale, sono state realizzate con svariate tecniche di microfonazione, raccogliendo di volta in volta specifici punti di vista sonori. In questa mia pratica il microfono ha svolto una funzione analoga a quella della macchina da presa nell’arte cinematografica”.
“L’esperienza di ascolto in cuffia delle tracce è pensata per essere accompagnata da questo libro, contenente le illustrazioni grafiche a cura di Giulia Polenta”.
Spiega poi la genesi del titolo del lavoro e si congeda per lasciare spazio all’avventura dell’ascolto, un viaggio in cui non si è mai lasciati soli.
Il punteggio che assegno alla presentazione scritta dalla stessa Agnusdei è un rasserenante 10/10: il testo è breve, asciutto e funzionale alla comprensione, ricco di tutti i dettagli necessari a comunicare intenti e obiettivi; la scrittura è chiara, lo stile sobrio e diretto. I crediti e i ruoli dei collaboratori non sono il classico e impersonale elenco della spesa, né si sbrodolano in facili autocompiacimenti. Ammirabile l’uso del termine progetto, che credo di aver letto qui per la prima volta nel suo significato corretto – e solo questo meriterebbe un 10 – unitamente all’assenza del piuttosto che – vero tormentone della lingua italiana – di inglesismi idioti, asterischi e termini astrusi. Insomma, prima ancora di ascoltare le tracce, l’Introduzione di UBI CONSISTAM mi ha trasmesso chiaramente l’essenza del lavoro: 5 brani collaborativi, incisi con varie tecniche di microfonazione in luoghi di Bologna – che Agnusdei ha scelto per particolari caratteristiche acustiche / architettoniche – ed eseguiti in questi stessi luoghi con sassofono alternato a contrabbasso, percussioni, tromba o clarinetto, seguendo spartiti grafici. In soldoni, comprendo che è prima di tutto un’esperienza d’ascolto nata per condividere e confrontare punti di vista e ispirazioni acustiche generati da un luogo.

La recensione di una recensione
Ma veniamo alla recensione della recensione di Michele Saran, firma storica di Onda Rock.

Partiamo male: dopo una fulminea quanto riduttiva presentazione dell’artista, la recensione inciampa in gravi omissioni ed errori grossolani, distorcendo sin da principio l'oggetto della comunicazione.
Viene del tutto eliso un dato essenziale [N.d.R.: che il lavoro di Agnusdei si compone di un libro e di 5 tracce musicali] per lasciare spazio alla canonica esposizione dei brani, in ordine di preferenza. Cancellata in modo inesorabile la ragion d’essere – e l'essenza – del lavoro di Agnusdei, l'autore tira in ballo il mondo di Pierre Schaeffer con un rimando alla "musique concrete". Per strada non si perde solo un accento ["musique concrete" VS musique concrète], ma si smarrisce l'intero contenuto, il concetto, la poetica e le finalità stesse della musica concreta, poiché la "visione acusmatica" di Agnusdei ci pare essere molto lontana dai lavori della Scuola di Parigi e, semmai, potenzialmente più vicina alle lezioni di un altro Schafer: Raymond Murray, padre dell'ecologia acustica e di una nuova concezione di ascolto.
Nella squisita analisi della "Visita", anche l’elenco della strumentazione impiegata appare scollarsi dalla realtà, laddove l'autore aggiunge elementi inesistenti come "tromba e clarinetto"; non si sa perché, si cede all'improvvisa necessità del termine inglese "double bass" al posto del più comprensibile e italiano contrabbasso. Forse suonava meglio, più profondo. Il problema degli strumenti immaginari prosegue anche nelle successive ricognizioni di "Liberi Salgono" – dove si palesa nelle orecchie dell'autore, tra i ronzii "Hassell-iani", anche il sax – e in "Passaggi", trasfigurato in un brano "in solitaria con il sax", con buona pace di Giacomo Bertocchi e del suo clarinetto.
Errori a parte, la recensione "richiede pazienza, o proprio annoia"; accogliamo perplessi la lunga infilata di richiami musicali desunti dall’autore che non possono far altro se non mettere a disagio un lettore poco esperto che vorrebbe avvicinarsi a un lavoro così semplicemente accessibile [N.d.R.] come quello realizzato da Agnusdei e compagni. È questa una nota dolente, che dimostra quanto l'autore sia stato incapace di cogliere e trasmettere le intenzioni dimostrate dalla natura del lavoro di Agnusdei.
La scrittura procede per allusioni e misteri: si parla di una generica "urbe" [Roma?Milano? Tokyo?] che dimostra di non aver afferrato l'importanza del riferimento a un luogo nel contesto di un'opera site-specific. Si menziona il "motto di Archimede" lasciando cadere ogni spiegazione nell'ombra, in un continuo susseguirsi di parole altisonanti di Foscoliana memoria e oscure attribuzioni come: "ascetica stasi trascendentale, vagiti, meditazioni di un asceta, solennità post-tonale, fanfare scandite come un rosario, adagi barocchi e adagi di Bruckner, conciliaboli di marce, cariche militari, nugoli di ronzii, sfiati drammatici, approdi poli-tonali".
A chiudere la recensione, un’altra confusione sull’essenza dell'opera, scambiata per un "sondaggio" e non considerata per quel che è, un lavoro che – citando alla lettera la presentazione di Agnusdei – desidera “innescare una nuova consapevolezza delle potenzialità acustiche che la città offre”.
La recensione, insomma, pare non spiegarci nulla – di concreto, corretto o consistente – preferendo dimostrare la cultura e la profondità di lettura di un autore che, probabilmente, avrebbe preferito ascoltare altro. Magari la sinfonia N°7 di Bruckner. Siamo contenti che l'autore abbia immaginato così tanti strumenti e dotti richiami musicali, ma forse ci avrebbe fatto maggior piacere incontrare la "noiosa" opera di Agnusdei.
Voto: 2/10.